Arch.01 _ L’arte del reinventarsi. I lavori creativi nell’incertezza dei nostri tempi

10 Agosto 2018 | Architecture , Critics

Il periodo di grandi trasformazioni che stiamo vivendo, ha fortemente cambiato il mondo del lavoro, rivoluzionandone ruoli e richieste. Molte professioni, che fino a poco tempo fa esercitavano un forte fascino nell’immaginario comune, ambite e remunerate, ora risultano essere obsolete e poco redditizie. Molti professionisti si sono dovuti confrontare con una crisi esistenziale profonda, sfociata in un dubbio amletico: perseverare o reinventarsi?

L’architettura dev’essere una vocazione

Molti sono i lavori colpiti dalla crisi ma il mestiere che meglio fotografa l’odierna “caduta degli dei”, è quello dell’architetto, divenuto, in breve tempo, l’emblema dell’inquietudine che ha colpito tutti. L’architetto è il mestiere che meglio dovrebbe descrivere e sintetizzare il genio umano: professione in costante equilibrio tra tecnica ed arte, tra poesia e concretezza e divisa tra cantiere e filosofie progettuali. La forma mentis di un architetto esige una grande cultura diffusa, una naturale inclinazione verso la Bellezza, intesa in senso lato, ed una continua curiosità: “chi non è curioso non può fare questo mestiere” sentenziava il maestro Achille Castiglioni. La crisi nell’edilizia, unita ad un elevatissimo numero di architetti, senza inoltre considerare una grande incertezza nell’essere pagati a fronte di una costosa e lunga formazione universitaria, ha posto numerosi architetti davanti ad una domanda campale: cosa fare per sopravvivere? come ritrovare ambizioni ed ottimismo? come reinventarsi? Le “botteghe” d’architettura erano fucine di talenti, dove creatività ed intuizione  coesistevano silenziosamente, ambienti in bilico tra artigianato ed arte, luoghi “magici” che esercitavano un grande ascendete sulle persone ma che ormai, in gran parte, sono divenute fabbriche di documenti e burocrazia. Gli incubatori di idee sono diventati, nel pensiero collettivo, le nuove “botteghe della creatività”, qui nascono e crescono le start-up,  tutto è in funzione delle idee e la principale fonte di ricchezza e di sopravvivenza è la creatività operativa. Spazi contemporanei dove la genialità trova libero sfogo, la cui fisionomia e filosofia è molto prossima all’ufficio-bottega dell’architetto ma con la grande differenza che le soluzioni proposte, molto spesso, trovano continuità all’esterno dell’ufficio.

“Non conosco vocazioni semplici, facili o democratiche”

Le situazioni drastiche aguzzano da sempre l\’ingegno, specialmente quando i soggetti sono dotati di grande competenza e creatività. Spesso è sufficiente scendere dal piedistallo dell’autoreferenzialità, reinventarsi e riscoprirsi in ambienti ed aree considerate “parallele”. Sono molti gli architetti che, forti di un bagaglio culturale e di un background proprio di questa vocazione che è l’architettura, hanno “invaso” altri settori, portando con sè un punto di vista differente e spesso illuminante, divenendo a volte dei luminari di quell’area. Nella fotografia, che io considero “l’arte sorella” dell’architettura, uno dei mostri sacri fu Gabriele Basilico, architetto-fotografo che ebbe il grande merito di rappresentare le periferie milanesi, molti anni prima che l’archeologia industriale divenisse un sublime linguaggio architettonico da riqualificare o un must per hipsters modaioli. Basilico è ormai diventato così noto che non è quasi nemmeno più un argomento spendibile nei salotti radical-chic. Nel mondo della moda, precisamente nella Milano da bere anni ’80, uno degli stilisti più affermati ed apprezzati, oltre a Re Giorgio, era l’ex studente del Politecnico di Milano Gianfranco Ferrè, questo stilista ha saputo arricchire le sfilate milanesi con la propria concezione geometrica, mutuata dal mondo dell\’architettura. Tra gli imperatori decantati da fashion tv e dalle riviste di settore e non, non si può non citare Tom Ford, ormai artista ecclettico, che ha saputo rilanciare l\’italiano marchio Gucci: Tom Ford, dopo una laurea in architettura, decise di divenire definitivamente stilista per potersi confrontare con una creatività più istantanea e libera. Entrambi gli stilisti citati hanno saputo esportare la loro vocazione architettonica, il loro modus operandi e la loro forma mentis in campi professionali apparentemente lontani o comunque diversi da quello architettonico. La lista degli esempi sarebbe molto lunga, molti sono gli architetti che si sono cimentati nei più svariati campi, dal mondo del cinema fino a quello della comunicazione, ottenendo successi e gratificazioni.

Oltre ai professionisti che si sono reinventati in altri ambiti, c\’è anche chi sta provando a cambiare il mestiere dell’architetto, uscendo dai canoni classici e divenendo il teorico delle mutazioni in atto. Nel libro scritto a più mani “Architettura open source”, descrive i profondi cambiamenti che, secondo lui, stanno investendo il mondo della progettazione; viene dichiarato defunto il ruolo dell’architetto-eroe, figura sostituita da una progettazione “dal basso” che trova il proprio compimento nel metodo “open source”; secondo Ratti l’architettura sarà sempre più “partecipata” e sempre meno definitiva da un progettista unico.Questo architetto ed ingegnere, dirige il senseable city lab al MIT di Boston, un gruppo di ricerca che studia come le nuove tecnologie stanno cambiando le nostre città. Ratti, considerato dalla rivista Wired come una delle “50 persone che cambieranno il mondo”, è attualmente il guru dell’urbanistica 2.0; le potenzialità delle nuove tecnologie applicate all’urbanistica, ad esempio lo smartdust che potrebbe servire per il controllo della mobilità,  sono spesso alla base dei progetti e delle ricerche del gruppo da lui diretto.

Oltre a cambiare il volto delle città, ed il modo di progettarle, le nuove tecnologie potrebbero cambiare la vita degli architetti. Il web sta invadendo ogni spazio utile ed ogni azienda, o persona fisica, ha ormai capito che questo aspetto sarà fondamentale per sopravvivere ed avere utili costanti, il mercato del lavoro inizia infatti a cercare figure in grado di garantire successo nel mondo virtuale. Una web-strategy è fondamentale per ogni azienda, per ogni politico e persino per ogni persona fisica se si conosce la pratica del Personal Branding, ciò che poteva sembrare superficiale o inutile è invece fondamentale per garantirsi visibilità ed introiti. Le nuove figure che il mercato inizia a richiedere sono tutte fortemente “2.0”: community manager, consulente web, webwriter, digital pr, web marketing expert, social media specialist, digtal strategist e molti altri ancora, lavori contemporanei che hanno aspetti in comune tra loro: sono professioni che necessitano di grande creatività, è fondamentale possedere una cultura ed una capacità diffusa, bisogna avere uno spiccato “good-taste” ed essere dotati di curiosità febbrile. Queste peculiarità dovrebbero appartenere già di default al bagaglio culturale di ogni architetto mentre la comunicazione, di qualsiasi aspetto, è ormai essenziale per sopravvivere. Divenirne maestri è quindi  il modo migliore per sopravvivere e proliferare. Ritengo che il compito di un creativo sia quello di creare emozioni e sensazioni mediante eventi, progetti, filmati o allestimenti, il web potrebbe divenire il tramite e/o il mezzo per amplificare queste emozioni. Personalmente non vedo nessuna differenza reale tra un wedding-planner ed un architetto classico, tra uno scenografo ed un designer, tra un curatore di eventi ed un pubblicitario, tra uno studio d’architettura ed una agenzia di comunicazione che opera nel web, variano sicuramente gli strumenti con cui ogni creativo è chiamato ad operare e le problematiche degli  ambienti con cui bisogna confortarsi ma da sempre considero la creatività “Gesamtkunstwerk”, termine con cui il compositore Richard Wagner definiva un’opera d’arte onnicomprensiva. Una scuola odierna dovrebbe essere basata sul concetto di coworking, al passo con i tempi ed in grado di intercettare i cambiamenti e le esigenze di una società in divenire. Per chi invece intende perseverare sulla via maestra, il web potrebbe essere la chiave di volta per ottenere clienti in linea con la propria filosofia progettuale, committenti pronti a sposare il linguaggio architettonico del progettista ed occasioni di lavoro su una scala più ampia rispetto a quella esclusivamente territoriale.

“Non conosco vocazioni semplici, facili o democratiche”

Damiano Guarnieri Flisi”

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